Le difficoltà del musicista trentino
Come tutto è (s)partito
«Questi sono i privé che mi piacciono» scherza Carpa sedendosi sulla panchina con lo schienale rinforzato. Sopra di noi la notte è serena e distante, costellata di stelle che si specchiano sul lago. I ragazzi hanno suonato poco fa assieme ai Maude (vi racconterò di loro nel prossimo episodio) e si stanno godendo la serata in un bar. «Peccato sia una cosa finanziata da noi» scherza qualcuno avvolto dall’ombra. Questo commento è il la che fa partire una conversazione lunghissima che so già sarà perfetta per il prossimo episodi di Come tutto è (s)partito. Raccontare di musica vuol dire anche raccontare cosa voglia dire essere musicisti, cosa significhi inseguire questo sogno in una regione come il Trentino-Alto Adige.
«Il problema principale di far musica in Trentino è che non c’è modo di uscire dai confini regionali» dice Giorgio prima di portarsi il bicchiere di vetro alla bocca. Accanto a me Carpa annuisce vistosamente: «Ci sono pochissimi posti in cui suonare, pochi eventi in cui farsi conoscere. Bisognerebbe puntare tutto sui social e in piccolo ci ho provato, ma ci vogliono davvero tanti soldi o tanta costanza e io voglio fare il musicista, non l’influencer»
«È un po’ triste che per fare qualcosa in ambito artistico-culturale e venir riconosciuti l’unica strada siano i social» commenta qualcuno che non riesco a individuare nella penombra. «Anche perché il livello è buono – riprende Giorgio- la musica trentina riesce a spiccare in contesti nazionali quando ci arriva». Cita un paio di esempi di contest, festival e persone che a me non dicono niente profana come sono in questo ambiente. «Forse proprio perché le occasioni sono poche e chi riesce davvero a combinare qualcosa deve avere un livello mediamente più alto rispetto a chi ci riesce in altri contesti». Cominciano a citare band medio-piccole che in Lombardia e in Emilia-Romagna riescono ad affittare locali, a suonare in bar ed eventi per il solo fatto di vivere in realtà più grandi e meno frammentate del Trentino. «C’è anche da dire che qui tutto il panorama musicale è in mano alle stesse persone: per arrivare da qualche parte devi avere certi contatti, essere amico di certe persone e roba simile». E che si potrebbe fare? Chi si potrebbe inserire in un contesto così chiuso? «Se ci pensate abbiamo suonato alla festa della musica perché avevano bisogno di un gruppo di apertura, ma non ci hanno dato nemmeno il rimborso spese. Il festival che dovrebbe celebrare la dignità del musicista come lavoro si è rifiutato di pagare…». Bevo un sorso del mio succo e prendo appunti sul mio cellulare perché il discorso mi sembra interessante. «E magari vi hanno raccontato la ca***ta della visibilità» interviene Karen. I ragazzi ridacchiano con quel fare complice e rassegnato di chi si sente ripetere la stessa vuota solfa da sempre. «Appunto – dice Karen – quando la finiranno di pagare il lavoro in visibilità? E poi di che visibilità stiamo parlando in Trentino-Alto Adige? Maddai».
La discussione va avanti e io sento tutta la passione di questi musicisti, tutta la voglia che hanno di vivere dei loro sogni e vorrei poterli aiutare a farsi spazio in un mondo che non funziona, «un mondo in cui non esiste la meritocrazia e si va avanti per contatti o al massimo per talent del c***o ». Vorrei davvero fare qualcosa per dar loro un’occasione, ma cosa? Non ho locali in cui farli suonare. «Del resto qui quasi nessuno ci fa suonare live perché siamo in una regione di vecchi con un turismo di vecchi che se sente musica dopo le 22 fa partire la lamentela al comune». Penso al Sottotetto chiuso proprio per questo e mi sale il magone. «Poi le radio non possono mettersi a trasmettere la musica indipendente e i piccoli artisti perché perderebbero ascolti – proseguono – quindi diventa anche difficile raggiungere il pubblico». Penso che i miei amici di Radio Retebusa potrebbero confermare meglio di me e in parte loro stanno già facendo qualcosa ospitando il programma di Arly joi sugli artisti emergenti. «Alla fine l’unica è andar via di qui». Questa conclusione fa un po’ male al cuore, ma posso davvero dargli torto? Per fortuna comincia il secondo giro di bevute e questa conversazione triste è arrivata al capolinea, sostituita da una discussione su cosa significhi essere un bravo musicista: studiare tanto o emozionarsi tanto? Lo studio ostacola la musica coi virtuosismi? O la vera musica è solo quella dei virtuosi?
Se siete curiosi di come è andata a finire fatemelo sapere: non è escluso che prepari un nuovo episodio speciale di Come tutto è (s)partito.
A presto
Daph